Massimo Salari sull’arte di Daniel Dallabrida come catarsi
April 30, 2017
Non credo a nessuna forma d’arte scevra d’autobiografismo.
Ho incontrato la prima volta Daniel Dallabrida nella mia città natale, Perugia. Anni fa. Quando era all’inizio del suo percorso accademico nel mondo delle belle arti. Una cosa mi colpì subito di quest’uomo intorno ai cinquanta anni: i suoi occhi. I suoi occhi erano colmi di meraviglia. Irradiandola. Come di chi guarda per la prima volta le cose.
I suoi occhi erano giovani. Pronti ancora allo stupore. E negli anni quegli occhi non sono minimamente mutati.
Dovetti aspettare la lenta costruzione di quel palazzo fortificato dal tempo e dallo scambio che ha il nome di Intimità per poter comprendere la natura di quello sguardo.
Daniel è un sopravvisuto. Non semplicemente un uomo scampato alla morte. Ma un uomo che ha avuto la morte come compagna di viaggio per lungo tempo.
Un uomo che è sopravvissuto non solo a se stesso. E al suo male. Ma agli amici più cari. Agli amori. Alle persone che – intorno a lui – definivano il perimetro della sua vita. Del suo essere. Sopravvissuto allo strazio di chi perde per strada cose insostituibili.
Quegli occhi, quello sguardo, sono il marchio impresso nel suo volto della capacità di vedere oltre il massimo limite umano. Mortale.l termine della vita.
Ecco, credo basti questo. Per raccontare l’uomo. Che come artista ha deciso di raccontare storie. Perchè la memoria di questo è fatta. Di storie. E la memoria ha una funzione fondamentale. Rendere le cose eterne. Estendendole oltre la loro forma materiale.
Daniel racconta l’ultima epidemia che il mondo abbia conosciuto. Racconta la notte più lunga degli ultimi decenni come solo può farlo chi è arrivato al tramonto. E ha trasformato le cicatrici in bellezza.
L’arte di Daniel Dallabrida è catartica. Pregna di vita come, iniettata – gonfia di tutto ciò che ha sperimentato – delle terre che ha visitato, delle persone che ha amato, degli incontri, anche fugaci, che hanno lasciato un segno.
E’ un’arte del Contagio. Perchè come uomo non si è ritratto mai di fronte alla vita così da poter ritrarre la vita con ogni mezzo. Fotografandola, scrivendola, suonandola. E contaminate sono anche le forme ed i mezzi artistici che usa.
Perchè è un’arte alchemica. Un processo di trasformazione.
Daniel si definisce un raccontastorie. Ma ai miei – di occhi – appare sempre più come un custode del segreto della creazione. E i suoi racconti celano proprio quello.
– Massimo Salari
Massimo Salari, 38, is a poet, actor, playwright and television commentator. Born in Perugia, he currently lives in Rome.